ΑΝΑΔΗΜΟΣΙΕΥΣΗ ΑΠΟ
Αναδημοσιεύουμε το άρθρο του Ιταλού συγγραφέα Crescenzio
Sangiglio με τίτλο: «I pomacchi,
l’etnia musulmana ma non turca che Ankara cerca di strappare alla Grecia» (Οι Πομάκοι, η
μουσουλμανική αλλά όχι τουρκική εθνοτική ομάδα που η Άγκυρα προσπαθεί να
εξαφανίσει από την Ελλάδα). Το rivistaetnie.com
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και έχουν μεγάλη αναγνωσιμότητα.
I pomacchi,
l’etnia musulmana ma non turca
che Ankara cerca di strappare alla Grecia
Crescenzio Sangiglio
03/08/2018
L’etnia dei pomacchi è suddivisa in prevalenza tra la
Bulgaria, la Grecia nord-orientale e la Turchia europea, con minori presenze
nella Repubblica di Macedonia (che da qui in avanti chiameremo con il nome di
Fyrom) e in Albania. Il loro territorio è grosso modo quello che ospita la
catena montuosa di Rodòpi (Ròdope), nella parte centro-occidentale della
penisola balcanica, a sud della Romania e della Serbia e a cavallo tra Bulgaria
e Grecia.
Secondo il censimento del 1991, i pomacchi sono complessivamente circa 350.000,
dei quali circa 45.000 in Grecia, circa 290.000 in Bulgaria e i rimanenti
stanziati negli altri tre Paesi succitati. La maggioranza dei pomacchi,
soprattutto in Grecia, è di fede musulmana, mentre in Bulgaria non pochi di
loro negli ultimi due secoli hanno subìto la coatta bulgarizzazione e
cristianizzazione con battesimi e cambi di nomi collettivi. Nella zona del
fiume Evros (Maritza in bulgaro), al confine greco-turco, a est di Rodopi
risulta stanziata la setta dei pomacchi kisìlbassis, eretici musulmani con
inspegabili consuetudini cristiane e lingua slava infarcita di termini greci
antichi.
In sostanza la presenza dei pomacchi si estende in una vasta regione che, dalla
zona a sud di Filippòpoli (bulgaro Plovdiv) giunge, scavalcando la catena di
Rodòpi, a una fascia da nord-ovest di Xanthi fino al limite orientale
costituito appunto dal fiume Evros.
Da dove provengono?
Le origini della gente dei pomacchi cambiano a seconda che
ci si riferisca a loro in Grecia, Bulgaria, Turchia, Albania e Fyrom. Ove si
eccettuino questi ultimi due Paesi dove la percentuale pomacca è del tutto
irrilevante sia dal punto di vista politico che sociale, vere e proprie teorie
sulla loro origine vengono sostenute con maggior o minor tasso di convinzione
storica e plausibilità in Grecia, Bulgaria e Turchia. (1)
Grecia. Secondo gli studiosi, i pomacchi sono discendenti degli
antichi agriàni, una popolazione tracia di particolare valentia guerriera,
convivente con le adiacenti genti elleniche, poi slavizzata dopo la discesa
degli slavi in Grecia nei secoli VII-VIII d.C. e successivamente in prevalenza
islamizzata durante il dominio ottomano nei secoli XV-XVII.
Bulgaria.
Appartenenti invece al ceppo razziale bulgaro vengono considerati i pomacchi da
parte degli etnologi locali: più precisamente sarebbero stati in origine
bulgari slavi cristiani poi convertiti alla religione musulmana, una parte di
propria volontà, un’altra sotto l’effetto di atti di violenza. Una seconda
teoria invece ritiene che i pomacchi cristiani bulgari abbiano in blocco
abbracciato l’islam per puri e semplici interessi economici: in quanto
musulmani le tasse erano quasi nulle o almeno facilmente sostenibili, mentre in
quanto cristiani l’imposizione tributaria era particolarmente gravosa. Da tener
presente, infine, che i pomacchi in Bulgaria sono bulgari a tutti gli
effetti e pertanto non vengono considerati minoranza.
Turchia.
Nell’ottica degli storici turchi i pomacchi altro non sono che l’antica razza
dei turchi kumani stabilitisi nella regione prima della conquista ottomana. La
lingua slava che parlano è quella appresa in seguito ai secolari contatti con
le limitrofe genti slave.
Fyrom.
L’origine dei pomacchi, infine, è diversamente orientata nell’ex repubblica
federativa popolare jugoslava di Macedonia, dove si parla di slavi macedoni
(?!) costretti a convertirsi all’islam; e nelle prospettive di altre teorie
senza paternità nazionale, più o meno fantasiose, si tratta di una razza
ignota, non locale, oppure di discendenti dagli arabi, oppure addirittura di
discendenti di Maometto venuti nella regione per diffondere l’islam!
Ai fini della certezza delle origini pomacche sono stati perfino eseguiti assai
estesi esami del DNA in Grecia e in Bulgaria, i primi per dimostrare la
ellenicità dei pomacchi, i secondo la loro natura bulgara. Le risultanze sono
state ovviamente in vario modo contestate dall’una e dall’altra parte.
Analizziamo il nome
In greco Πομάκοι, in bulgaro Помаци, in turco pomaklar… una
denominazione avvolta, ancor più dell’origine, nella più completa incertezza terminologica
ed etimologica. Oltremodo poi abbondano le ipotesi. È illuminante una breve
panoramica.
In àmbito bulgaro, si presume che il termine provenga dal verbo slavo pomoči,
aiutare, in quanto i pomacchi erano coloro che assistevano, che servivano gli altri.
Una seconda interpretazione fa discendere il termine dal bulgaro mak oppure pomagast,
ossia tormentato, servo degli altri, sottoposto, privo di propria entità.
Un’altra spiegazione viene proposta con la parola bulgara paturnjak, cioè
“colui che è diventato turco”.
Secondo, invece, una “versione” turca, il termine “pomacco” deriverebbe dal
turco çomak, bastone, manganello, mentre il punto di vista greco vi scorge una
discendenza dal greco antico απόμαχος, riferendosi alla formidabile
cavalleria di Alessandro il Grande costituita appunto da combattenti di origine
pomacca, gli antichi agriani. Infine un’altra interpretazione greca individua
nel termine “pomacco” il significato di πόμαξ (πότης), ovvero bevitore,
conformemente all’accertata abitudine dei traci a indulgere ad abbondanti
libagioni, ciò che gli attuali pomacchi non esitano a considerare offensivo e
falso; mentre essi stessi, al contrario, non esitano a designarsi come Αχριάν
(achriàn), nel senso di Αγριάνες, agriani, stirpe della Tracia antica,
montanari e rudi abitanti nella parte centro-ovest dei monti di Rodopi,
nell’antichità noti anche come Αγραίοι (agrèi) e Αγριείς (agriìs).
A nostro parere quest’ultima derivazione razziale sembra essere anche la più
convincente e scientificamente possibile. Non si dimentichi peraltro che
proprio entro tale cornice prospettica sin dal 1946 gli stessi pomacchi ebbero
a chiedere all’ONU di venir considerati di chiara origine greca e, in quanto
greci, di voler appartenere alla Grecia stessa (a tal riguardo, vedi più
avanti i tentativi dei pomacchi in Bulgaria).
Lingua prettamente orale
Fino alla fine del ’900 la lingua dei pomacchi era priva di
redazioni scritte, espressa sostanzialmente nella sola forma orale, al pari dei
canti popolari. Solo nel 1996 appare la prima pubblicazione concernente la
lingua pomacca: un’opera in tre volumi edita a Salonicco a cura del maestro
elementare Petros Theocharidis, primo e tra i più importanti studiosi del
popolo pomacco e della sua cultura.
I primi due volumi costituiscono il primo dizionario greco-pomacco e
pomacco-greco, mentre il terzo espone la grammatica e sintassi della lingua.
Il cospicuo inizio della presentazione produsse negli anni successivi e sino a
oggi una ricca messe di manuali di grammatica, favole pomacche, giornali e
riviste nonché canzoni tradizionali in lingua pomacca.
Chiaramente la lingua pomacca appartiene al ceppo slavo, non però nella
struttura cirillica bensì in quella latina e, attualmente in Grecia, trascritta
in caratteri greci. Vi convivono elementi espressivi bulgari, serbi, greci,
turchi e albanesi, evidentemente acquisiti nella diuturna familiarità e
prossimità (e spesso anche promiscuità) con le corrispondenti nazioni. La
lingua pomacca parlata nella parte est della Tracia occidentale appare aver
subìto una più spiccata influenza della lingua turca, mentre quella parlata
nella parte ovest rivela una assai intensa presenza linguistica greca, perfino
di origine antica oltre che di reminiscenze trace.
Le analogie che riflettono precisi influssi ellenici si riscontrano
principalmente nelle due fondamentali categorie dei sostantivi e dei verbi, il
che possibilmente testimonia una stirpe – gli agriani – per molti versi a lungo
inserita entro le prevalenti etnie elleniche. D’altro lato, al contrario,
palese e talora ossessiva è stata ed è l’intenzione e la volontà degli studiosi
bulgari di far comparire il linguaggio pomacco come immediato e diretto
discendente dalla lingua bulgara, a riprova dell’esclusiva appartenenza dei
pomacchi al ceppo bulgaro. Ovviamente in questa tensione dialettica non si
tiene alcun conto delle incongruenze, inesattezze e sproporzioni in cui cadono
spesso le loro elaborazioni linguistiche.
A proposito dell’“inesistenza scritta” della lingua pomacca, solo da un
ventennio positivamente superata, giova spendere alcune considerazioni
illustrative e orientative quale prova peraltro della “situazione etnica” nella
quale si è venuto a trovare il popolo pomacco fino ai tempi più recenti.
Ragioni sociali e ragioni politiche sono state individuate (2) come
spiegazione di tale inesistenza. Il punto di partenza sta nel fatto che
l’uomo pomacco sin gli ultimi anni ’80 del 1900 viveva quasi isolato sulle
pendici della catena montuosa di Rodopi, poco propenso a contatti con la circostante
evoluzione urbana della società. Socialmente, pertanto, il pomacco, fors’anche
a motivo della “propria psicosintesi e della coltivata immagine di sé”, si era
circondato da una annosa, cosciente arretratezza sociale, accentuata da
ineludibili ristrettezze economiche nell’isolamento ambientale montano nel
quale viveva e dal quale temeva di allontanarsi e perdersi (perdendo la propria
identità) nelle più progredite e non lontane società vallive.
Ne è conseguita la diffusione nella più ampia regione della Tracia di una, più
o meno sincera e/o interessata, “fama” di ignoranza e inconsistenza etnica dei
pomacchi, scaduti e dileggiati quali prototipi di insipienza, inettitudine e
inciviltà. Dentro questo coacervo di negatività stirpale anche il pratico meccanismo
di comunicazione, la lingua pomacca, veniva coinvolta in una devastante critica
di degradazione e avvilimento. Parellela ne era altresì l’umiliazione della
stessa identità etnica pomacca, una comunità acriticamente ritenuta
“socialmente arretrata, economicamente inferiore, civilmente
inesistente”. (3)
Il fatto poi che la lingua suonasse in “modo slavo” non
pochi sospetti creava in una zone di confine come la Grecia del Nord, da Thessaloniki
al fiume Evros, dove le mire bulgare e jugoslave di sbocco sul mar Egeo avevano
prodotto in ambiente greco, sia governativo sia di pubblica opinione, troppe
minacce e collisioni per non provocare nei confronti degli slavofoni pomacchi
(per quanto sostanzialmente innocenti e non coinvolti di propria volontà)
sentimenti di avversione e diffidenza.
La lingua ne subiva il contraccolpo impersonalizzandosi in una continua
solitudine ideologica che escludeva qualsiasi possibilità di riconoscimento topografico.
Al fattore sociale si aggiungeva poi anche quello politico sin dai primi anni
del XX secolo. La Grecia apparteneva a un blocco politico opposto e ostile a
quello dei limitrofi Paesi slavi al nord, Jugoslavia e soprattutto Bulgaria, sì
che le popolazioni pomacche slavofone – situate nello spartiacque dei due
blocchi politico-militari di NATO e Patto di Varsavia – non potevano che essere
inquadrate entro una inestricabile rete di riserve, sospetti e mai provate
ragioni discriminanti.
L’essere, infine, i pomacchi di fede musulmana non faceva che peggiorare il
riscontro della loro presenza in territorio greco giungendo fino a produrre il
sistematico impedimento, in ogni eventualità, di rendere scritta la loro
espressione linguistica: pertanto, l’orientamento religioso implicitamente, ma
spesso anche in maniera apertamente esplicita, veniva comunque interconnesso
con ogni risultanza proveniente dalla Turchia, storicamente nemica della
grecità.
In entrambe le situazioni la Grecia riteneva di avere motivi più che validi per
cercar di neutralizzare la presenza dell’elemento pomacco minimizzandolo al
massimo: timore di sentimenti filobulgari, da una parte, e timore di
esaltazioni musulmane, dall’altra, costituirono, e costituiscono – crediamo –
fin nel più recente passato, la bilancia critica del trattamento riservato
dallo Stato greco ai pomacchi.
In ultima analisi, attualmente, dopo gli effetti di due guerre mondiali, due
guerre balcaniche e una guerra civile, la “paura bulgara” per i pomacchi in
Grecia s’è rivelata più che altro infondata: i pomacchi continuano a parlare
una lingua di costituzione slava senza con ciò attentare alla sovranità, alla
sicurezza e alla nazionalità elleniche.
Non così invece per la “paura turca”: sembrerebbe ora addirittura che nessuna
paura del genere porti preoccupazioni allo Stato e al governo greco, visto che
la stessa Grecia – sicuramente, come si usa dire, “dandosi la zappa sui piedi”
– per ben due volte, nel 1951 e 1968, ha acconsentito che nell’interno della
minoranza musulmana in Tracia occidentale, ossia proprio entro i propri più
critici confini statali, l’istruzione possa essere impartita esclusivamente in
lingua turca (sia pure con l’obbligo di apprendimento di un po’ di greco!)
arbitrariamente privilegiando i turcofoni a danno dei
pomacchi e dei rom, che non sono turchi né vogliono imparare il turco! Il che
altro non ha fatto che rinforzare e legittimare presso le istanze statali
turche la volontà di omogeneizzare la comunità musulmana in Tracia con
l’obiettivo, non tanto celato, di trasformarla in grande comunità
nazionale turca… Un salto di qualità non indifferente, attraverso due
penetranti cunei di azione: la voluta obliterazione di ogni altra diversa unità
etnica (chiaramente: i pomacchi e i rom) nel corpo di un turchismo generale; e,
propedeuticamente, lo “smaltimento” dell’islamismo di ogni altra diversa unità
etnica nel crogiolo-base dell’islamismo panturco. Una vera e propria spina
turca nel fianco ellenico.
Così, l’incuria politica fino ai primi anni ’80 ebbe modo di provocare, a
carico della popolazione pomacca, il catastrofico obbligo di adozione, in
quanto gente di fede musulmana, della lingua turca (intesa come unica
lingua dell’islam) a scapito della lingua greca producendo l’assurdità,
unica su scala mondiale, di un popolo di cittadinanza greca e religione
musulmana ma di lingua artificiosamente turca, anziché rispettivamente pomacca
e romanì come storia e cultura testimoniano.
Certamente la mancanza sino a qualche decennio fa di forme scritte della lingua
pomacca (slava), per gran parte da attribuirsi all’ostracismo imposto da varie
autorità greche locali e centrali – senza dimenticare però anche il mirato
intervento di tutti gli ambienti turchi attivi in Tracia – rese possibile e più
facile la “castratura linguistica” della società pomacca in Grecia.
Solo negli anni ’80 una certa “liberalizzazione” del sistema politico in Grecia
permise ai pomacchi di porre, e di porsi, per la prima volta il quesito della
propria identità etnica e linguistica, soprattutto in antagonismo con lo
spirito turcocratico intensamente stimolato dal consolato turco a Komotinì e da
varie adiacenti associazioni d’interessi turco-musulmani.
Gli accordi e protocolli greco-turchi del 1951 e 1968 vennero messi in
discussione e contestati (e lo sono tuttora!) con una serie di ragionamenti e
sillogismi di puntuale attualità:
·
Ai pomacchi è imposto di imparare il greco e il
turco nelle scuole “minoritarie”. Premesso che il greco è la lingua del luogo
di residenza e di cittadinanza e quindi va comunque appreso, i pomacchi si
chiedono perché debbano imparare anche il turco malgrado essi non si
sentano turchi e per legge greca siano considerati greci e non turchi?
·
Perché in territorio pomacco i mezzi di
comunicazione di massa non si riferiscono mai alla lingua, cultura e civiltà
pomacche, ma danno ampio spazio solo a ciò che è turco?
·
Perché vi sono programmi radiofonici, oltre che
naturalmente in greco, anche in turco, ma non in pomacco, e questo
neppure nell’àmbito della vasta zona di precipua abitazione pomacca? Perché i
pomacchi vengono considerati turchi quando non lo sono?
·
Nell’importante settore giudiziario-processuale,
perché vi sono interpreti/traduttori per i turcofoni che ignorano il greco e
non vi sono invece per i pomacchi, anche laddove questi costituiscono la
maggioranza etnica?
·
Perché l’intervento turco ha potuto,
consenzienti le superiori autorità scolastiche greche (!), annullare
l’intenzione e il progetto di inserire nei libri di insegnamento del greco alle
minoranze in Tracia anche terminologie pomacche in considerazione
della nutrita presenza di tale etnia nella regione?
Certamente altre domande ancora vengono poste in questa
direzione e rimangono senza risposta.
Solo verso la fine del 1900 (precisamente nel 1997) la popolazione pomacca ebbe
modo di acquisire nella pratica quotidiana e coltivare titoli di identità
etnica, estrinsecatisi poi in organizzazioni associative, manifestazioni
culturali, edizioni linguistiche, creazioni radiofoniche, trattenimenti
musicali. La fondazione del Centro di Studi pomacchi a Komotinì pose le basi
per la “proiezione”, almeno in Grecia, dell’entità pomacca con la sua storia,
la sua particolarità razziale, le sue componenti culturali.
Con tutto ciò, mentre presso le radio private la musica pomacca viene adesso
correntemente trasmessa, la radiofonia statale ripetutamente ha rifiutato di
mandare in onda canzoni pomacche. Il fatto che tali brani musicali utilizzino
testi di una lingua fondamentalmente e acusticamente slava sembra che continui
tuttora a costituire un insormontabile fattore proibente.
Sempre a Komotinì è stato pubblicato un libro di lettura in lingua pomacca per
alunni della prima classe elementare, smentendo così le asserzioni ministeriali
greche secondo cui “non esiste materiale didattico” per l’insegnamento del
pomacco nelle scuole, il che evidentemente significa una pura e semplice
mancanza di volontà politica dello Stato ellenico nell’affrontare gli obblighi
scolastici pomacchi nelle loro reali dimensioni e termini.
Attualmente, dopo non poche edizioni di testi in lingua pomacca, risulta essere
prevalsa una forma arricchita dell’alfabeto latino nell’espressione scritta del
pomacco, evitando così pericolose affinità cirilliche prossime alle grafie
bulgara e serba. D’altra parte, degna di rilievo appare l’opera del Centro
Culturale di Sviluppo con sede a Xanthi, promotore di una serie di
pubblicazioni per l’insegnamento della lingua pomacca destinate ai docenti
greci in servizio nelle cittadine pomacche (Πομακοχώρια) interessati
all’apprendimento della lingua locale.
L’islamizzazione dei pomacchi
La popolazione pomacca non è stata sempre musulmana. Il
cristianesimo fu la sua originaria fede religiosa nelle regioni pomacche dei
due versanti, a nord e a sud, della catena montuosa di Rodòpi.
L’islamizzazione in quella regione settentrionale della Grecia si estende nel
tempo praticamente dal XIV fino al XVII secolo. Dopo il 1371 bande di
irregolari turchi “conquistatori” (γαζής, plurale γαζήδες) provenienti da
oriente oltrepassano il fiume Strimònas devastando ogni cosa al loro passaggio
e vessando oltremodo le popolazioni cristiane locali, preludio all’invasione
vera e propria turco-mongola dei Juruki, pure da oriente, la quale,
iniziata dopo il 1385 sotto il sultanato di Murat I, proseguì poi con il
sultano Vajazit I con l’occupazione dell’intera striscia montuosa da Kavàla a
Serres, a settentrione del lago di Langadàs.
Praticamente, quindi, la prima conversione collettiva all’islam avvenne in
Macedonia centrale in seguito alle insopportabili pressioni esercitate appunto
dai Juruki sui cristiani, condotti alla totale disperazione nel clima
di violenza e terrore instaurato in città e campagne. E indiscutibile fulcro
nel processo di islamizzazione costituì la milizia dei Jenìtseri (Yeni
Çeri = giovane esercito), in italiano Giannizzeri, creato dal sultano
Orchan (1327-1360) con il preciso compito di premere le genti cristiane tanto
da costringerle a rinnegare la propria fede per non subire distruzioni, torture
e morte.
Così la fase iniziale della violenta islamizzazione aveva luogo con l’obbligo
dei genitori di ragazzi cristiani di “cederli” ai servizi militari turchi
presso i quali veniva loro imprtita la più stretta e capillare educazione
ottomana, teorica e pratica, tanto da trasformarli nella più temuta, fanatica
milizia turca, appunto i famigerati Giannizzeri. Uguale trattamento
subivano anche i giovani cristiani caduti prigionieri, anch’essi inquadrati,
dopo un opportuno “allenamento”, nel corpo dei Giannizzeri, un corpo di soldati
il cui organico, inizialmente composto da un migliaio di unità, con il passar
degli anni crebbe a dismisura: circa 13.000 durante il sultanato di Murat II
(1421-1451), 48.000 durante Murat III (1573-1595), 70.000 sotto Mustafà II
(1695-1702), 80.000 con Ahmet III (1702-1730), 110.000 sotto Selim III
(1789-1808), addirittura 140.000 con il sultano Mahmut II nel 1826.
S’è detto poco sopra dell’obbligo di “cessione” dei ragazzi maschi ai servizi
di leva turchi. In sostanza si trattava di un vero e proprio ratto elevato a
sistema. La prima “raccolta” di giovani cristiani avvenne sotto Murat I
(1360-1389); nei secoli successivi divenne metodica prassi, si direbbe
d’obbligo, soprattutto sotto Selim I (1512-1520) e Suleiman I (1520-1566). Da
allora la “raccolta” era fissata ogni cinque anni, ma successivamente scese a
ogni biennio e perfino ogni anno, a seconda delle esigenze militari. Nel XV
secolo quando fruirono di esenzione dalla “raccolta” gli ebrei e gli armeni,
l’intero peso della “operazione” cadde sui soli cristiani. Soltanto i cristiani
residenti a Costantinopoli e all’isola di Rodi non venivano “arruolati”.
Per quanto concerne le popolazioni montane dei pomacchi, la loro islamizzazione
iniziò nel XVI secolo sotto la spinta dell’esercito turco. Una prima fase si
concluse nel XVI secolo, durante il sultanato di Selim I, mentre la seconda
fase ebbe luogo nella seconda metà del XVII secolo, sotto Mahmud IV
(1648-1687). Sembra comunque che durante la prima fase l’adesione all’islam sia
stata assai mediocre.
L’islamizzazione collettiva avvenne invece nel ‘600, a quanto pare sotto
l’assillo della sopravvivenza, sia pure nella sola zona pomacca a nord dei
monti di Rodopi, in territorio bulgaro, ove si consideri la realtà dei fatti
narrata nei Codici della Metropoli di Filippùpolis (oggi Plovdiv) e
confermata dallo slavologo ceco Konstantin Josef Jireček: intorno al 1650 i
maggiorenti pomacchi chiesero alle autorità turche di aderire all’islam
malgrado l’intervento dissuasivo dell’arcivescovo di Filippùpolis, Gavriìl
(1636-1672). Sembrerebbe che i motivi di sopravvivenza addotti dai
maggiorenti attenessero non tanto a pressioni religiose ottomane quanto alla
generalizzata oppressione etnica esercitata dall’elemento bulgaro locale, sì
che l’islamizzazione ottenuta equivaleva propriamente a un “ombrello” di
protezione dalle vessazioni bulgare. La solenne cerimonia della circoncisione
dei maggiorenti significò la conversione di tutti gli abitanti pomacchi della
regione all’islam.
Non così invece accadde in territorio pomacco greco a sud di Rodopi, con molta
probabilità a causa della resistenza di quei pomacchi cristiani; qualche anno
più tardi, nel 1656, l’attacco di forze militari turche condusse alla violenta
islamizzazione dei maggiorenti pomacchi e degli altri abitanti. Lo sradicamento
del cristianesimo in territorio pomacco portò alla distruzione di 218 chiese e
di 336 cappelle. Ancor oggi ne sono visibili le rovine. In ogni modo, non
sempre l’islamizzazione ebbe esito positivo, volontario o coatto. Molti
pomacchi scelsero la morte, di solito precipitando da qualche dirupo (non
dimentichiamo che gli originari pomacchi erano montanari): alcuni luoghi di
sacrificio sono il Momtsi Kamen presso la cittadina di Orèon, la Cima Marina
presso Eòra, il Tserven Kamen a Màndena, il Gulem Kamen a Glàfki, tutte
località intorno al capoluogo di provincia Xanthi.
Un popolo di montagna
Se, da una parte, le popolazioni pomacche sono in
maggioranza di fede musulmana (oggigiorno ormai risultano indifferenti e
ininfluenti le modalità di tale islamizzazione), non è possibile, dall’altra,
passare sotto silenzio una realtà notevolmente rilevante: l’aspirazione e la
volontà dei pomacchi, sin dal XIX secolo, di essere incorporati in uno Stato
greco, di farne parte integrante, rifiutando nel contempo, almeno fino al primo
ventennio del XX secolo, qualsiasi appartenenza alla Bulgaria.
Già ai primi del 1878 durante la guerra tra Russia e Turchia, in diverse
regioni greche, specie nel nord del Paese (Macedonia, Epiro) ma anche nel
centro (Tessaglia) e nel sud insulare (Creta), si verificarono moti insurrezionali
contro il dominio ottomano. Anche i pomacchi, montanari di Rodopi, si
sollevarono nell’intenzione di forzare e prevenire una loro futura unione con
la Grecia. La sommossa non fu coronata da successo, frustrata dalle previsioni
del Trattato di Santo Stefano per le quali tutta quella regione pomacca
era destinata a far parte della Grande Bulgaria.
Non rimase loro che trincerarsi dietro una reazione di autodipendenza bloccando
tutti i passi sulla catena di Rodopi e istituendo una Autonoma Repubblica
Pomacca comprendente 21 paesi, in ciò ispirati e indotti soprattutto dalla Gran
Bretagna i cui interessi non potevano tollerare una eventuale espansione russa
nel sud del settore balcanico. La Repubblica fungeva ben da diga protettiva.
Purtroppo la vita di questa Repubblica ebbe termine nel settembre 1885, quando
la regione della Rumelia Orientale fu annessa alla Bulgaria e quei pomacchi
rimasero ingabbiati e definitivamente incorporati nello Stato bulgaro.
Anche nel 1919 i pomacchi e i turcofoni della Tracia Occidentale (4) in
una petizione al parlamento bulgaro ebbero a chiedere di essere liberati dal
dominio bulgaro, postulando nel contempo dapprima l’occupazione interalleata della
Tracia e la sua successiva “concessione” alla giurisdizione ellenica. La
richiesta rimase senza sostanziale esito. Fu ripetuta dopo la fine della
seconda guerra mondiale, nella Conferenza di Pace a Parigi nel 1946, mentre un
formale appello al Consiglio di Sicurezza dell’ONU fu presentato, insieme a
paralleli passi presso il ministero degli Esteri americano, con l’istanza di
liberazione dalla potestà bulgara e l’inserimento nella regione pomacca greca
mediante referendum.
Una simile soluzione avrebbe significato altresì e soprattutto la concessione
vera e propria alla Grecia di un cospicuo territorio bulgaro a nord di Rodopi,
cosa che nell’“economia” dei piani delle Grandi Potenze era escluso che potesse
trovar accoglimento. Infatti, per ulteriore sfortuna dei pomacchi bulgari,
l’iniziativa fu del tutto ignorata, “superata” dalle risultanze della
precedente Conferenza di Yalta, in Crimea (febbraio 1944) che distribuì le
“zone di influenza” in Europa tra gli allora alleati Occidentali e Orientali!
Andando a ritroso, comunque, merita pur un breve cenno la rivolta pomacca
nell’agosto 1913, potenzialmente promettente dopo l’occupazione di tre
importanti centri urbani in Bulgaria (Kossùkavak, Mastanlì e Kàrzali) e di
altrettanti in Tracia greca, ma sotto occupazione bulgara (Komotinì, Xanthi e
Alessandropoli) e l’istituzione ufficiale, il 1o settembre 1913, della
“Amministrazione Provvisoria della Tracia Occidentale”. Però sia la Grecia sia
il governo ottomano, ignorando del tutto gli insorti pomacchi, ne decretarono
la sconfitta e la resa di tutta la regione all’esercito bulgaro intervenuto
indisturbato il 30 ottobre 1913.
Non bisogna dimenticare che negli anni 1912-1913, che precedettero lo scoppio
della prima guerra mondiale e durante i quali si svolse la prima guerra
balcanica, la politica bulgara in tutta la zona abitata da pomacchi musulmani
era incentrata sul duplice sforzo di rendere di nuovo cristiane quelle
popolazioni islamizzate e altresì bulgarizzarle a tutti i costi. A tale scopo
numerose cerimonie di battesimo di gruppo venivano organizzate, durante le
quali alla riacquisizione della fede cristiana veniva aggiunto il cambio del
nome musulmano in un nome bulgaro secondo la legge e la chiesa bulgara.
Il rapporto tra i pomacchi e la
Grecia
In linea generale, l’atteggiamento ufficiale dei governi
greci nei confronti dei pomacchi è stato in ogni tempo discriminatorio e
negativo, senza particolari manifesti motivi, mentre nell’interscambio tra
pomacchi e turchi la bilancia del favore pende addirittura – si direbbe contro
natura e contro ogni logica – dalla parte turca lasciando la parte pomacca in
una permanente situazione di stallo politico, culturale e confessionale.
Appare chiaramente la (non dichiarata) volontà ellenica non solo di abbandonare
la gente pomacca, ma anche di rendere sempre più facile la sua caduta nel
soffocante abbraccio assimilante della Turchia (e ciò addirittura entro i
confini nazionali greci) la quale si presenta, in modo indubbiamente
interessato, come il “naturale protettore” dei musulmani dovunque essi si
trovino… e a più forte ragione in Grecia, e persino quando non si tratta di turcofoni
ma chiaramente di etnie totalmente differenti.
Entro tale prospettiva, di particolare importanza e conseguenza è stata la
decisione del governo greco sin dal 1954 di far cambiare la denominazione delle
scuole “musulmane” in scuole “turche” con l’asserzione, evidentemente
cervellottica, che in tale modo veniva posta una esplicita distinzione dalle
scuole musulmane in Bulgaria!
Un anno dopo, nel 1955, a completamento dell’intenzione greca di formalizzare
una “contiguità” – indipendentemente da quanto fittizia e artefatta – tra
alfabeto pomacco e alfabeto turco, venne disposto un programma di conferenze
per i maestri elementari pomacchi al fine della adozione nell’alfabeto pomacco
dei caratteri grafici latini utilizzati nell’attuale alfabeto turco.
È palese, da quanto precede, la preferenza greca verso i pur atavici nemici
turchi, ma di orientamento politico affine, anziché verso i bulgari – e i
pomacchi vengono senza troppe sottigliezze assimilati ai bulgari – anch’essi
tradizionali nemici, ma di orientamento politico avverso (comunista o comunque
di sinistra): nessun governo greco, infatti, avrebbe potuto agire diversamente
tenuto conto che tutti i governi dalla fine della guerra civile (1949) in poi e
fino al 1982 erano fedeli seguaci della più stretta ideologia della destra
conservatrice e persino dittatoriale, di ispirazione e impulso angloamericani,
dogmaticamenmte ostili al contrapposto blocco sovietico-comunista.
Nel 1995, ancora sulla base di un accordo greco-turco e in considerazione del
fatto che, malgrado tutte le pressioni greche, l’alfabetizzazione latina della
lingua pomacca non sembrava aver dato i frutti sperati, il ministero ellenico
della Pubblica Istruzione ordinò l’organizzazione di apposite conferenze in
Tracia occidentale per prescrivere ai maestri pomacchi l’adozione della grafia
latina, alla stregua della grafia turca. Un altro manifesto indicatore del
favore che continuava a essere concesso dalle massime autorità pedagogiche
greche alla lingua turca, nella sua forma latina istituita da Mustafà Kemal, a
evidente danno della lingua originaria dei pomacchi.
È appena il caso di ricordare, andando un attimo a ritroso nel 1973, come
l’introduzione dell’alfabeto latino e della lingua turca nelle scuole pomacche
coincise con la visita in Tracia occidentale dell’allora ambasciatore turco ad
Atene, Ghiurùm.
E a conferma – se ve ne fosse bisogno – del trattamento per lo meno iniquo
riservato dalla Grecia ai pomacchi, oltre naturalmente al noto ostracismo alla
loro lingua, risulta la limitazione territoriale e l’isolamento che gli stessi
furono costretti a subìre fino al 1996, quasi una segregazione individuale e
collettiva in piena fine del XX secolo nel Paese europeo culla della
democrazia, qualcosa di inammissibile e intollerabile: il semplice accesso alla
regione delle cittadine pomacche nel comprensorio di Xanthi, oltre a non essere
libero, era altresì incanalato in una ben definita direzione stradale chiusa da
una sbarra (in greco, la famigerata μπάρα), una specie di posto di
frontiera nell’interno stesso del territorio greco per superare il quale era
obbligatoria l’esibizione di un documento personale e del permesso di accedervi
fornito dalla Direzione della Polizia di Xanthi… Un vero e proprio apartheid imposto
dal governo greco ai pomacchi musulmani (ma anche cristiani), di lingua slava
ma cittadini greci (sulla carta) per lo stato civile.
Comportamenti del genere da parte ellenica, non troppo lontani dall’essere
considerati reati, sono stati capaci di produrre presso le popolazioni pomacche
fino agli ultimi 2-3 decenni molteplici reazioni e tendenze di adesione alla
propaganda nazionalista neoturca, e di assenso alle lusinghe generosamente
concretate in una serie di vantaggi e utilità consentite ai turchi, ma non ai
pomacchi stessi!
Insegnamento scolastico
Quello dell’insegnamento scolastico è un settore in cui
l’atteggiamento delle autorità elleniche – da quelle ministeriali a quelle
prefettizie, comunali e di sicurezza – rivela, si direbbe, irrisolti pregiudizi
verso i pomacchi, tuttora ritenuti, per quanto strano e assurdo possa apparire,
bensì cittadini greci, ma estranei al complessivo corpo nazionale greco, e
questo unicamente sulla base di indimostrate (e mai discusse) problematiche
politiche e linguistiche e, in minor misura, confessionali. (5)
Pregiudiziali agli sviluppi del discorso che seguiranno, tre quesiti sono
insistentemente posti e a tutt’oggi regolarmente ignorati dalle competenti
autorità elleniche:
1.
Fino a quando gli alunni pomacchi greci saranno
obbligati a frequentare scuole elementari minoritarie turcofone?
2.
Fino a quando lo Stato greco li costringerà a
imparare una lingua diversa da quella della patria, la Grecia, e diversa dalla
loro lingua materna?
3.
Fino a quando il ministro della P.I. continuerà
a tacere di fronte alle istanze dei pomacchi greci affinché scuole pubbliche
greche siano create nelle cittadine pomacche, anziché scuole minoritarie
bilingui che condannano i bambini pomacchi all’ignoranza?
Non c’è dubbio che la situazione dell’istruzione elementare
nella regione della Tracia occidentale scaturisca (ancor oggi se ne sentono gli
esiti) dalle risultanze e dagli effetti della lunga Guerra Fredda seguita al
secondo conflitto mondiale, quando il solo fatto di appartenere al “blocco
orientale” era – in un Paese come la Grecia, “dedicato” all’occidentalismo
anglo-americano – primario pretesto per procedere a esclusioni e persecuzioni.
Nel contempo non bisogna dimenticare che in quegli anni di sguardi in cagnesco
tra vicini, in particolare nei Balcani, ciò che era slavo era comunista tout
court, e i pomacchi, con sentimenti filogreci ma di lingua slava, non potevano
certamente sfuggire a questa ferrea regola.
Da allora data la prima penetrazione in Grecia della lingua e cultura turca,
poi ulteriormente rafforzata nell’àmbito del Patto Atlantico. Entro questa
cornice ideologico-politica, il problema dei pomacchi musulmani non aveva certo
il peso per creare attriti con un membro dell’Alleanza così importante per
posizione geografica come la Turchia, il cui fine sin da allora consistette, e
tutt’oggi consiste, nella trasformazione dell’elemento religioso pomacco
in elemento eminentemente nazionale turco, ossia nella considerazione che
i pomacchi musulmani per il solo fatto di essere musulmani dovevano essere
anche turchi e non greci.
L’obbligo di coesione natoica imponeva alla Grecia di coltivare, persino
unilateralmente, un buon clima nei rapporti con la Turchia, di non dare
fastidio alla Turchia per “futili” questioni pomacche, anche se questo in
realtà faceva comodo alla stessa Grecia per la quale i pomacchi rappresentavano
degli intrusi slavi, virtualmente pericolosi quale possibile longa manus della
Bulgaria, e pertanto era sentita la necessità di isolarli e lasciare che di
essi se ne occupasse la Turchia assumendosi il loro “gravame etnico”.
In questa direzione procede quindi, nel 1954, l’ordine
proveniente dal capo del governo greco, maresciallo Papagos, di utilizzare a
tutti i livelli pubblici e privati “da ora in poi e in ogni caso il
termine turco anziché il termine musulmano e (…) sostituire
in tutta la regione le svariate denominazioni come Comunità musulmana, Scuola
musulmana, ecc. con Comunità turca, Scuola turca, ecc.”
In sostanza, già da allora, sessant’anni fa, la Grecia
diventava succube delle mire turche; comunque già dal 1951 in parte realizzate
nella pratica quotidiana, se si tiene conto del fatto che, a seguito
dell’Accordo Culturale greco-turco del 20 aprile 1951 e sebbene questo non
prevedesse affatto che il turco dovesse essere la lingua ufficiale della
minoranza musulmana in Tracia occidentale, nella prassi e tacitamente il
governo greco assentì all’espansione nelle scuole minoritarie della lingua
turca e addirittura accettò che il relativo programma didattico provenisse dal
ministero turco della Pubblica Istruzione!
Un ampliamento ancora in favore della parte turca avvenne poi con il Protocollo
Culturale scambiato tra i due Paesi il 20 dicembre 1968 in base al quale venne
raggiunta la completa turchizzazione dell’istruzione minoritaria in Tracia, una
turchizzazione che coinvolse bensì il 50% turcofono della minoranza, ma anche –
per quanto assurdo e ingiusto possa ciò risultare – l’estraneo rimanente 50%
composto da 35% di pomacchi e 15% di rom.
Tutto questo con le benedizioni del governo ellenico e senza mai chiedere a
questo secondo 50% se desiderasse o no (se si sentisse o no di) appartenere al
mondo turco! In tal modo viene introdotta la lingua turca quale unica
lingua minoritaria benché costituisca lingua madre solo del 50% della
minoranza, del tutto ignorando l’esistenza e i diritti delle altre due lingue
minoritarie che con quella turca non hanno nulla a che vedere, anzi
arbitrariamente e completamente comprimendole con l’evidente fine di
eliminarle lasciando il “monopolio” alla minoranza linguistica turcofona.
La cosiddetta scuola minoritaria
A livello elementare le scuole minoritarie istituite dal
governo greco per le minoranze in Tracia appaiono, visti i risultati raggiunti,
del tutto insufficienti e inidonee per un programma di istruzione di buon
contenuto. Il grave handicap di tali scuole sta nell’aver fissato
quale lingua minoritaria per tutti – turcofoni, pomacchi, rom – appunto la
lingua turca, insegnata insieme a una rattoppata lingua greca. Donde la loro
denominazione di “scuole bilingui”.
Chiaramente si tratta di un indirizzo didattico del tutto deficiente e
addirittura pericoloso, giacché presso i turcofoni produce intense tendenze
all’autoesclusione e trinceramento dietro a irrisolte, si direbbe
irridentistiche istanze etniche, mentre i pomacchi e i rom – stabili e tipici
abitanti della regione – sono destinati a incontrare insuperabili difficoltà
nella successiva istruzione secondaria ellenica a causa dello scadente e
incompleto insegnamento in lingua greca ricevuto, inadatto al proseguimento di
studi a livello superiore. Ne risulta, in questo caso, una non rara
ghettizzazione sociale i cui risvolti non possono che essere deleteri per
pomacchi e rom, incoraggianti invece dalla politica turca in Tracia a
considerare più lusinghiere le prospettive offerte da Ankara.
Non senza ragione è stato affermato che le scuole minoritarie “condannano alla
semignoranza, chiudono gli orizzonti conoscitivi degli alunni (…) aggiungono
fanatismo, detraggono cognizioni, moltiplicano la confusione, creano i ‘noi’ e
gli ‘altri’, aggiungono ideologie kemaliste, tolgono il pensiero
critico”. (6)
Nel 1996 fu presentato il programma di istruzione dei
bambini musulmani denominato “Frangudaki-Dragona”, dai nomi dei due promotori,
nel quale compare l’assurdità dell’utilizzazione del turco come esclusiva
lingua d’appoggio nell’apprendimento della lingua greca! Complementare è stata
l’edizione di dizionari bilingui greco-turchi e l’organizzazione di seminari di
lingua turca per gli insegnanti greci!
Decisamente il colmo del paradosso, questa metodologia assolutamente
antiscientifica e antiellenica che, dallo stesso Stato greco, parrebbe
appositamente dedicata alla turchizzazione delle scuole greche in Tracia.
In tutta obiettività, nondimeno, non può non riscontrarsi la piena inefficacia
di simili “programmi” il cui accoglimento da parte dell’elemento non turcofono
sembra sia stato del tutto negativo, evidenziando l’inconsistenza pratica e
teorica di fondo della stessa struttura di base, ossia la cosiddetta “scuola
minoritaria”. Il fallimento di questa, da più parti ormai assodata, fa sì che
la più sensata decisione da parte greca sarebbe quella di:
1.
Istituire in tutta la regione pomacca scuole
elementari statali greche nelle quali accogliere gli alunni pomacchi che
sentono di essere greci (e sono molti).
2.
Nelle suddette scuole elementari, creare
consistenti corsi per l’insegnamento della lingua materna agli alunni pomacchi
e rom quali lingue complementari. L’insegnamento del turco valga solo per i
musulmani turcofoni, quale lingua complementare alla lingua greca, prima lingua
dappertutto ovviamente in Grecia, anche per in turcofoni musulmani che pur
sempre sono di nazionalità greca. A nessun livello scolastico, invece, va
insegnata la lingua turca ai pomacchi greci di madrelingua pomacca che
rifiutano il turco.
3.
Applicare una istruzione prescolastica in lingua
greca nelle scuole materne statali da creare in tutta la regione pomacca.
4.
Rendere immediatamente operative le quattro
scuole statali elementari greche, istituite sin dal 2007 ma mai sinora
funzionanti.
5.
Per i pomacchi greci non turcofoni, eliminare la
lingua turca a livello elementare e stabilire l’insegnamento della lingua
pomacca (vedi 2).
6.
Rispettare e applicare le previsioni della
Convenzione di Losanna in merito al carattere musulmano della
minoranza pomacca in Grecia e non nazionale turco.
7.
Insegnare la lingua pomacca sulla base di un
alfabeto speciale greco da utilizzare altresì nelle amministrazioni pubbliche
in tutta la regione pomacca (come l’italiano-francese in Val d’Aosta e
l’italiano-tedesco nell’Alto Adige, in Italia).
Tutto ciò naturalmente in applicazione delle raccomandazioni
della International Convention on the Elimination of all Forms of Racial
Discrimination dell’ONU in data 28 agosto 2009, secondo cui “la
Commissione prende nota che la comunità musulmana della Tracia occidentale è
composta dai gruppi etnici dei turchi, dei pomacchi e dei rom e il governo
[greco] deve assicurare il loro diritto a usare le loro lingue”, in ciò
ribadendo l’art. 41 della stessa Convenzione di Losanna.
A questo proposito dunque se per i musulmani turcofoni nulla quaestio,
visto che la lingua turca viene più che ampiamente (certamente più del normale)
insegnata e diffusa, non così succede per i musulmani pomaccofoni e rom le cui
lingue, pomacca e romanì, non esistono in nessuna scuola!
Al paragrafo 28 della stessa raccomandazione, infine, viene richiesto al
governo greco di applicarne gli esiti entro il 18 luglio 2013. (7)
A questo punto e in connessione con quanto precede, non
sarebbe ozioso precisare alcuni parametri non meno importanti nella generale
tematica dell’istruzione primaria in Tracia. Non vi è alcun dubbio che nelle
scuole minoritarie così come sono attualmente strutturate viene “costruita” una
vera e propria identità turca a uso e consumo del governo di Ankara.
È vero pertanto che nelle medesime scuole non poche manifestazioni di stile
kemalista vengono attuate ispirando negli alunni musulmani sentimenti di
fanatismo religioso verso i cristiani. Malgrado tutto, prosegue il
funzionamento anticostituzionale delle scuole minoritarie nelle quali lo stesso
elemento greco-pomacco viene discriminato. Peraltro, le scuole minoritarie sono
chiaramente illegali in quanto, giusta gli accordi internazionali e la
legislazione istitutiva, si tratterrebbe di scuole a carattere privato il cui
funzionamento deve essere ovviamente a carico di coloro che vi mandano i figli:
in realtà, invece, tutte le spese scolastiche vengono sostenute dallo stato
ellenico e sono quindi a completo carico del contribuente greco, ma a totale
favore della politica turca.
Il consolato turco a Komotinì
Prima di concludere la panoramica sul popolo dei pomacchi in
cerca di un ubi consistam, in pratica di un legittimo riconoscimento della
sua qualità di gruppo greco-pomacco, non sarà inopportuno soffermarsi
brevemente sulla presenza e attività del consolato turco a Komotinì i cui
“interventi” spesso e volentieri vanno ben oltre i limiti previsti
dall’ordinamento consolare internazionale.
Sia per quanto concerne la politica seguita dal governo greco in Tracia
occidentale, sia in relazione alla condotta di organismi statali e privati
turchi nella medesima regione, vale la pena di conoscere lo stato di cose
vigente nello spazio dei pomaccochòria (πομακοχώρια), i paesi
pomacchi, seguendo le testimonianze scritte degli stessi pomacchi interessati
nella loro diretta, annosa esperienza a contatto con una realtà spesso
spiacevole.
È di qualche anno fa (8) la
denuncia di circa 40 insegnanti di religione musulmana nella Prefettura di
Rodopi (che con la Prefettura di Xanthi costituisce la “regione pomacca”
greca), con la quale rilevanti particolari della illegale attività consolare
turca a Komotinì vengono resi pubblici al fine di provocare finalmente qualche
contromisura di marca ellenica. I contenuti della denuncia possono
riassumersi come segue.
Nel 2007 il Parlamento greco votò la legge 3536 con la quale lo Stato si
assumeva l’onere della retribuzione di 240 imam da nominare in servizio nelle 3
legittime e ufficiali cirscoscrizioni-sedi di Muftì in Tracia e per
la durata di 9 mesi ogni anno. La legge nella pratica risulta ancora, dopo ben
sette anni, inattiva in seguito a rabbiose e violente, e a quanto pare
determinanti, reazioni di parte turca: i candidati greci musulmani al ruolo di
imam secondo la legge greca non solo non sono stati nominati, ma subiscono
attacchi personali e familiari a opera di facinorosi circoli turco-musulmani
noti alle autorità greche. E l’unica risposta a tale inadempienza è stata la
sentenza n. 50/2012 della Corte d’Assise della Tracia con la quale
semplicemente si fa obbligo al ministero ellenico di risarcire finanziariamente
gli imam nominati secondo legge greca ma non assunti! Una pronuncia che,
limitandosi all’utilitaristico fatto materiale, ignora il precipuo diritto alle
funzioni per legge spettanti ai candidati.
In tal modo il principio legale secondo cui la minoranza in Tracia ha carattere
religioso e non etnico, così come peraltro prevedono la Costituzione greca e le
convenzioni internazionali (Trattato di Losanna, sempre in vigore) risulta del
tutto vanificato.
È evidente che di fronte all’intraprendente influsso del consolato turco, che
certamente possiede autorevoli “agganci” pro-musulmani nel Parlamento greco,
come si vedrà di seguito, perfino una legge dello Stato greco non trova
l’attesa applicazione. In tal modo oggi in Tracia non presta servizio nessun
imam di nomina ministeriale greca. E, cosa ancor più assurda e inammissibile
per la sovranità di uno Stato, gli imam attualmente in servizio sono quelli
“nominati” dal consolato turco (cioè dal governo turco) evidentemente senza
alcuna autorizzazione da parte greca… Non sapremmo dire in quale Stato che non
sia fantoccio intrusioni del genere potrebbero essere tollerate.
E come se ciò non fosse sufficiente, l’attività del consolato turco a
Komotinì (9) si estende, oltre che in azioni di propaganda, anche in
atti di provocazione e minacce personali contro chiunque si opponga o,
addirittura, si limiti a non appoggiare la sua attività.
È assai recente l’intervento di parlamentari di varia tendenza politica
per l’approvazione di un emendamento alla legge predetta che possa condurre
alla nomina dei maestri mancanti. Ma allora ci si chiede: la legge ha bisogno
di emendamenti per essere applicata?
Quanto detto chiarisce solo parzialmente la quantità del potere parallelo e
illegale che la rappresentanza consolare turca esplica in Tracia occidentale
accanto al legittimo ma fantomatico potere statale ellenico e con l’ equivoca
acquiescenza di quest’ultimo.
L’obiettivo raggiunto dalla Turchia è duplice: che da una parte la minoranza
pomacca non turcofona venga considerata e trattata come etnicamente turca, e
dall’altra che i bambini della minoranza stessa non solo non imparino bene il
greco, ma vengano del tutto esclusi dalla loro lingua materna pomacca! E là
dove non arriva il potere statale ellenico l’attività consolare turca crea una
propria rete di istruzione, istituendo proprie scuole materne bilingui in
violazione alla legislazione greca.
La politica turca di “acquisizione” dell’etnia pomacca, oltre che basata sulla
ormai penalmente rilevante assenza amministrativa, giudiziaria e civile
ellenica, trova ampia applicazione in diversi programmi di assistenza e aiuto
finanziario provenienti sia da fonti private (ricchissimi turchi) sia da fonti
innominate, di origine però facilmente individuabile (lo Stato turco).
Così, a puro titolo esemplificativo ma fortemente indicativo, il “creso” turco
Omar Babà, imprenditore, offre per ogni bambino che abbandona la scuola greca
per studiare in una scuola coranica privata (anche queste funzionanti in
Tracia, mentre per analoghe scuole confessionali ortodosse greche in Turchia,
neanche a pensarci) la somma di 500 euro al mese. Un’altra offerta di 1000 euro
all’anno viene proposta per ogni ragazza minorenne che indosserà il
tradizionale fazzolettone musulmano: importo messo a disposizione
“ufficiosamente” dal consolato turco.
E poi, sono anni che vengono offerte antenne paraboliche per captare i segnali
di emittenti televisive turche, principalmente nei paesi montani pomacchi della
Tracia dove il segnale delle TV greche non è mai giunto o è insufficiente. Nel
centro di Komotinì, un moderno edificio di lusso ospita gli uffici,
enfaticamente grandiosi, della banca turca Ziraat Bank il cui compito è quello
di prestare ai soli musulmani e alle associazioni di interessi turchi danaro al
tasso del 3%, quando nelle banche greche il tasso ammonta al 14%.
Accanto a simili attività che, se non altro, indicano una assai profonda
penetrazione economico-sociale turca nel tessuto delle minoranze musulmane,
vanno poste non meno deleterie per i pomacchi (e sono molti che si professano
greci e tengono a esserlo) pratiche legislative e amministrative greche i cui
risultati sono egualmente corrosivi per la resistenza pomacca alle seduzioni
turche.
Innanzi tutto la legge greca costringe il bambino pomacco (il quale, giova
rammentare, non ha nessun rapporto con cultura e lingua turca) a imparare,
senza altra alternativa, sin dalla prima classe elementare il turco e il
greco. Nessuna possibilità viene offerta per l’apprendere il pomacco, la lingua
materna. E se il greco, sia pure rabberciato e invalido che s’insegna nelle
scuole minoritarie, potrebbe in qualche modo apparire utile vivendo in Grecia,
il turco ci si chiede (anche se il governo non sembra essersi mai posta la
domanda) a cosa possa servire in territorio ellenico…
È certo che simili programmi didattici hanno l’implicito scopo di istruire non
alunni greci pomacchi, ma alunni turchi che molto probabilmente non rimarranno
in Grecia, né vi proseguiranno i propri studi, ma si trasferiranno in Turchia
determinando lo sconvolgimento della sequenza etnica pomacca nel tempo
trasformata in nazionalità turca.
D’altra parte, l’insediamento in Tracia occidentale di fanatici nuclei
turco-musulmani nazionalisti è stata sommamente facilitata dalla riforma comunale-amministrativa (10) con
una spesso illogica “riorganizzazione funzionale” in accorpamenti comunali
autonomi: ne è risultata di fatto la creazione di quattro comuni della circoscrizione
di Komotinì, due dei quali guidati da sindaci turchi (!!) al servizio del
consolato turco, come è facile intuire.
Non si può infine non ricordare anche le pericolose beghe politiche. I
partiti greci con validi interessi elettorali nella regione non hanno
minimamente esitato a porre in testa alla loro lista candidati musulmani
turcofoni appoggiati, se non addirittura proposti, dal consolato turco.
Risultato: due dei tre deputati eletti nella Prefettura di Rodopi (Tracia
occidentale) con capitale Komotinì altri non sono se non gli “eletti” del
consolato turco, con quanto possa scaturire da simile evento. (11)
Concretamente, l’attuale situazione nei Pomaccochòria è
il visibile e vistoso risultato di una pluridecennale latitanza statale
ellenica e di un corrispondente sopravvento dei disegni politici turchi. Ovvero
una situazione che nessuno Stato “normale”, che rispetti se stesso,
accetterebbe mai nel proprio territorio.
Entro un simile quadro trovano la loro logica – per quanto inammissibili e
inaccettabili – le dichiarazioni dei due deputati “consolari” dopo la loro
elezione nel Parlamento greco: Tsetin Màndazi (PASOK), non si peritò di
affermare pubblicamente che “la comunità turca della Tracia occidentale
costituisce parte della grande nazione turca”, mentre Orchan Chagiibrahim
(Nuova Democrazia) più espressamente dichiarò che il suo ingresso in Parlamento
servirà a difendere i diritti dei “turchi della minoranza”.
In entrambi i casi non sfugga un particolare della massima
importanza: parlando di “comunità turca” i suddetti – come peraltro sostengono
sia il consolato turco sia il governo di Ankara – non intendono riferirsi solo
ai 60.000 musulmani turcofoni (opportunamente da anni “edotti” a
considerarsi “turchi”), ma comprendono altresì i 45.000 pomacchi musulmani e i
15.000 rom pure musulmani, tutti “sulle carte” cittadini greci!
Alla luce di quanto precede, ci si chiede – e sarebbe bene che si chiedessero
anche tutti i cittadini europei – cosa accadrebbe nella Comunità Europea se per
caso la Turchia dovesse entrare a farvi parte, con i milioni di
turchi ivi residenti e con la politica ufficiale turca di voler porre sotto la
propria “protezione” non soltanto tutti i turchi all’estero, ma anche tutti i
non turchi ma musulmani, nel rivendicato presupposto che la Turchia sia il
naturale paladino di ogni seguace dell’islam. Un particolare, non
superficiale, che quasi tutti ignorano in Europa. (12)
La maggior parte della comunità pomacca ha sempre voluto e
chiesto di essere considerata greca di professione musulmana, fedele alle leggi
greche, e come tale trattata. Ha sempre chiesto di far frequentare ai propri
figli le vere e proprie scuole greche e non quelle cosiddette
minoritarie, in commistione con i turcofoni greci, ma fondamentalmente turchi
per convinzione, con i quali non sente di avere nulla in comune… come in
effetti, per nascita lingua e cultura, è. Ha sempre chiesto di fruire degli
stessi diritti dei turcofoni musulmani. Sono addirittura frequenti i casi di
false dichiarazioni di residenza fornite alle direzioni didattiche di Xanthi e
Komotinì allo scopo di poter iscrivere e far seguire in queste città ai propri
figli i corsi delle scuole greche, anche quando ciò obblighi a percorrere ogni
giorno chilometri di strada.
Per tutto
ciò, e malgrado la sopracitata precisa esortazione/ammonizione (28 agosto 2009)
del Comitato Internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale dell’ONU, (13) nessun governo ellenico – apparentemente in nome
di una più che precaria amicizia greco-turca “coltivata” con incomprensibile
ostinazione – ha mai aderito alle richieste dei pomacchi, proseguendo nel loro
“declassamento” non solo giuridicamente illegale, ma altresì politicamente
errato e pericoloso, socialmente ingiusto e anacronistico, oltre che
palesemente discriminante. In tutta sincerità, non se ne vedono le
ragioni. E di certo appare poco plausibile che ancor oggi, nel 2018, presso
questi governi ellenici non solo della destra-conservatrice, ma anche sedicenti
socialisti-progressisti, a distanza di circa mezzo secolo dalla fine della
“guerra fredda”, possano proseguire pratiche ideologiche di quella lontana
mentalità e psicosi nel considerare la “natura” della minoranza pomacca.
Un radicale mutamento di rotta non solo è augurabile, ma si impone, non
foss’altro che per sanare un’infinita ingiustizia etnica, sociale e civile.
Insomma, un vero atto di giustizia e di equità per una popolazione che non
aspetta altro.
N O T E
1) Vale la pena di precisare che i pomacchi
di stanza in Bulgaria e Turchia sono stati completamente assorbiti dalle
rispettive popolazioni locali e inseriti nelle corrispondenti nazionalità. I
pomacchi in Grecia, invece, teoricamente costituiscono una minoranza etnica
straniera, malgrado le ripetute istanze passate e presenti di integrazione nel
tessuto nazionale greco. I pomacchi in Albania e Fyrom non compongono in
pratica validi e influenti aggruppamenti socio-nazionali.
2) Hamdi Omer, Relazione al congresso internazionale
per le lingue minoritarie presso l’Organismo Mercator, Olanda,
23/25-11-2004.
4) Dopo la seconda guerra balcanica (1913), la Tracia
occidentale era stata totalmente occupata dai Bulgari.
5) Da tener presente che i pomacchi, pur essendo di fede
islamica, non hanno mai attuato manifestazioni di ostilità verso la popolazione
maggioritaria ortodossa greca.
6) N. Kokkas, L’istruzione minoritaria e la teoria del
prezzo politico, in pomakohoria.blogspot.com, 24-9-2010.
7) A quanto ci risulta, nulla sembra essere stato applicato
sinora.
8) Messaggio email odeg@otenet.gr del 21-12-2012 da
Paparodopoulos Nikos a Hellenic-Professors-Phds@Hec.greece.org .
9) Per strano che possa apparire, questo consolato ha la
propria sede in una città (Komotinì) dove la minoranza musulmana è piuttosto
limitata, e non a Xanthi nella cui provincia si trovano quasi tutti i centri
musulmani turchi e pomacchi.
10) Con il nome di Kallikràtis (Callicrate:
architetto ateniese che nel V secolo a.C. insieme a Ictino costruì il
Partenone).
11) Per maggiori informazioni, v. www.zagalisa.gr .
Peraltro, non bisogna perdere di vista la circostanza che l’intera popolazione
minoritaria in Tracia occidentale (pomaccofoni, turcofoni e rom) la
legislazione greca considera costituita unicamente da cittadini greci di
religione musulmana.
12) Senza contare l’innarrestabile invasione di turchi in
cerca di miglior fortuna che avrebbe luogo in tutti i Paesi comunitari,
legittimata dalle norme sulla libera circolazione dei cittadini entro i confini
dell’Unione.
13) Si veda anche il Promemoria sull’istruzione dei
pomacchi in Tracia inviato il 3-3-2010 dalla Associazione Culturale dei
pomacchi di Xanthi ai ministri greci della PI, A. Diamandopùlu, e degli Esteri,
J. Papandreu, in citato pomakohoria.blogspot.com del 5-9-2010.
ΑΝΑΔΗΜΟΣΙΕΥΣΗ ΑΠΟ